Note:
1 -  Sanvito, Das Rätsel des Kelten-Spiels, in “Board Games Studies /5”, Università di Leiden, 2002, p. 9-24.
 2 - Le Goff , Il meraviglioso e il quotidiano nell’Occidente medievale, Roma-Bari, 1999.
3 -  Murray, A History of Chess, Oxford,  p. 747. In genere per questi adattamenti, cfr. Frappier, La naissance et l’évolution du roman arthurien en prose, in “Grundriss, Der Romanischen Literaturen des Mittelalters”, vol. IV, Le Roman jusqu’à la fin du XIII siècle , Heidelberg, 1978. A pagina 550 del cap. Le cycle de la Vulgate, si legge “Toute
 la machinerie romanesque fonctionne des plus belles: tournois, défis, 
quêtes, méprises, incognitos; nains, géants, pucelles persécuté, prisons
 cruelles, fontaines empoisonnées, philtres, longue démence, échiquiers, anneaux magiques, carole enchantée”.
4 - Sanvito, Gli scacchi e la morte nell’iconografia. Una partita perduta in partenza…, in “L’Italia Scacchistica”, Milano, 2002, p. 114- 122.
5 -  Predica fatta il 2 novembre 1496 dell’arte del ben morire raccolta da Lorenzo Violi,
 Firenze, 1500 c. La citazione scacchistica è tratta dall’edizione 
IGI8758 ma la “predica” ha avuto almeno 4 edizioni dal 2 novembre 1496 
alla fine del secolo. Il passaggio si trova a c. a 6 r.  Il merito di 
questa scoperta è tutto da attribuire al dottor Piero Scapecchi della 
Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. A lui devo un sentito 
ringraziamento per avermi passato questa preziosa informazione.
Capitolo I
  
  
Superbe testimonianze giunte dal passato
                          
   La storia degli scacchi è come un grande mosaico costruito con 
tanti tasselli.
Probabilmente tutte le storie posseggono tale caratteristica ma gli 
scacchi sono forse unici nell’avere tasselli così complessi; tasselli 
vari con differenti storie, alcune antiche con ricca tradizione di fonti
 e studi in avanzato stadio di conoscenze e altre antiche o nuove con 
una storia ancora in parte da approfondire.
   Agli scacchi sono stati spesso associati i più disparati temi, 
esterni al gioco, come la musica, le lettere, la matematica, 
l’archeologia, la pittura, l’arte, la psicologia, l’astronomia, i 
computers e così via ma gli scacchi  hanno saputo alimentare anche  
discipline all’interno della propria essenza, durante il  loro ultra 
millenario percorso; appunto i tasselli che servirono, servono e 
serviranno per raccontarne la storia.
   Fra queste discipline interne, primeggia, ad esempio, per nobiltà
 e conoscenza il “problemismo”, cioè quanto si intende, secondo una 
moderna definizione tradizionale, per “problema di scacchi”; una 
posizione di pezzi creata dalla mente del compositore, nella quale il 
Bianco, con una serie di mosse prestabilite, da scacco matto al Nero o 
costringe quest’ultimo a dare scacco matto al Bianco. Naturalmente 
questa definizione è ben lontana dall’essere completa, tuttavia, essa è 
sufficiente per rendersi conto dello scopo del “problema” che è in primo
 luogo la presentazione di una combinazione decisiva  di breve sviluppo,
  geniale, e di profonda bellezza che spesso raggiunge l’altezza di una 
vera e propria creazione artistica. 
   Vi sono naturalmente altre discipline all’interno degli scacchi 
che hanno subito, grazie a continui studi, la stessa evoluzione con 
risultati di conoscenza assai elevati. 
Viceversa fra i tasselli ancora da studiare a fondo, curiosamente, vi 
figura la storia dei pezzi del gioco; pezzi attraverso il cui uso, tra 
l’altro, si è costruita l’intera storia degli scacchi.   
   Il contrasto è oltretutto aggravato dal fatto che la prima certa 
testimonianza dell’esistenza degli scacchi sia completamente basata 
sulla consegna da parte di un re indiano a un re persiano di un set di 
scacchi raffigurato da due schieramenti realizzati  in rosso rubino e 
verde smeraldo.
Lo stesso Murray nel suo monumentale lavoro, commentando lo  Shanama
  (Il libro dei Re), che racconta anche del passaggio degli scacchi 
dall’India alla Persia, osserva che  Firdawsi non si attenne 
scrupolosamente ai fatti contenuti nell’antico testo pahlavico; al 
contrario il poeta persiano si concesse numerose licenze letterali, la 
più importante delle quali fu, nella sua narrazione, di sostituire i 
pezzi realizzati in rubini e smeraldi con pezzi fatti in avorio e teak. 
La sua lapidaria sentenza fu: “The colours of the older text seem, though, to be more accurate historically”.   
   A supporto di tale giudizio, lo studioso inglese cita un passaggio contenuto nel libro “Ghurar akhber muluk alfurs”  di  Ath-Tha alibi, che era stato scritto per magnificare i meravigliosi tesori di Xusraw che suona così “Egli possedeva anche un gioco di scacchi i cui pezzi erano di rosso rubino e verde smeraldo”.
   E’ possibile, si chiede addirittura Murray, che “la saga dell’ambasciatore giunto dall’India sia nata dall’esistenza di questo favoloso set?”. 1
   Il piacere, dunque, di possedere, in genere “il bello”, e nel 
nostro particolare caso, rari, preziosi, unici, giochi di scacchi è 
passione antichissima; non certo solo appannaggio degli uomini del 
nostro tempo.
   Sets così antichi non sono mai arrivati integri ai nostri giorni,
 tuttavia, singoli pezzi o parti di giochi provenienti da ogni dove ma 
soprattutto da scavi archeologici sono sopravvissuti alle inesorabili 
insidie del tempo consentendoci di intuirne il percorso originario, 
permettendoci di ammirare e studiare antiche testimonianze che oggi 
costituiscono il raro patrimonio scacchistico di tutta la comunità 
internazionale.  
   Fra i più antichi pezzi a noi pervenuti vi è un elefante, in 
pietra nera, oggi conservato al Metropolitan Museum of Art di New York, 
 che secondo i responsabili “potrebbe” essere un Re appartenuto a un set
 persiano; il “potrebbe”, per altro indicato nella scheda del Museo, ci 
offre lo spunto per fare una considerazione di carattere generale: va 
sempre ricordato che giudicare un singolo pezzo estraniato dal suo 
contesto di appartenenza ad un gruppo di figure, è impresa improba, se 
non  impossibile. 2 
   Molto diverso è il caso dell’importante ritrovamento archeologico
 guidato da Burjakov, avvenuto a Afrasiab di sette figure in avorio, 
datate attorno al VII, VIII secolo d.C., raffiguranti uomini e animali 
in maniera – nonostante il cattivo stato di conservazione – chiaramente 
naturalistica, tali da riportarci immediatamente con il pensiero all’ 
antica ambasciata del re indiano. 3     
   Degni di  nota sono due tesori scacchistici particolarmente 
ricchi di pezzi oggi custoditi l’uno in Francia e l’altro in Gran 
Bretagna; il primo è il cosiddetto gruppo di 16 pezzi in avorio 
comunemente noto con la dizione di “Scacchi di Carlomagno”, sebbene 
Carlomagno fosse già morto da alcuni secoli quando l’intero set fu 
intagliato. Tutta la storia nacque da una leggenda, ovviamente priva di 
fondamento, secondo la quale il Califfo di Bagdad, Haroun  el-Rachid lo 
avrebbe donato al re carolingio in occasione della sua incoronazione a 
imperatore nell’anno 800. Lo straordinario insieme di forme 
naturalistiche di notevole fattura fu trovato nell’Abbazia di Saint 
Denis; molto più tardi il tutto  fu trasferito al Cabinet des Médailles 
della Biblioteca Nazionale. La lavorazione, certamente medievale, di 
evidente mano europea che, tuttavia, evoca in alcuni pezzi una visione 
orientale, sembra, secondo accurati studi, essere opera delle scuola 
italiana di intagliatori di Amalfi. 4   
   Il secondo cimelio è l’eccezionale rinvenimento di ben 78 pezzi 
intagliati in dente di tricheco,  avvenuto nel 1831 su una spiaggia 
della costa occidentale dell’isola di Lewis, donde il successivo nome 
convenzionale a loro attribuito. Anche i Lewis sono pezzi, nella maggior
 parte, antropomorfi e appartengono a più serie di scacchi; 67 di essi 
si trovano al British Musem di Londra, gli altri 11 al Museo Nazionale 
di Edimburgo. Secondo gli esperti che li hanno studiati, questi pezzi 
eccezionali per la truce  espressività dei personaggi scolpiti con 
innegabile maestria, dovrebbero risalire al XII secolo e probabilmente 
furono di mano d’opera scandinava. Oggi sono incolori ma al tempo del 
loro ritrovamento alcuni conservavano ancora tracce di rosso scuro, o 
come si scrisse beet-root color, cioè color barbabietola. Una 
caratteristica, questa, già osservata in diversi  altri casi  e 
abbastanza usuale nei set figurativi d’epoca medievale. 5   
   Molto probabilmente in assoluto, un elefante in avorio di 
raffinata fattura orientale, è forse il più noto negli ambienti 
scacchistici fra tutti i pezzi a noi pervenuti. 6  
Ripetutamente pubblicato si trova anch’esso custodito al Cabinet des 
Médailles della Biblioteca Nazionale; un re di un gioco di scacchi 
indiano  presumibilmente databile al X secolo che, per via dell’ 
iscrizione sul piedestallo min’ amal Yâmal al-Bâhilì, viene 
considerato di produzione araba su modello indiano, sebbene non si possa
 escludere che tale scritta potrebbe anche non essere quella 
dell’intagliatore ma quella del proprietario. Comunque sia, sulla 
corretta identificazione di questo Re domina  pesantemente la già citata
 difficoltà di essere un “singolo”. Basti pensare che dopo mille anni 
nessuna conclusione certa è stata ancora raggiunta. 7  
   Il Museo Nazionale del Bargello di Firenze conserva una delle più
 importanti collezioni del mondo di pezzi antichi di scacchi  
sopravvissuti al tempo e pervenuti a noi con la donazione Carrand del 
1888. La loro varia manifattura, europea ed esotica documenta un “epoca”
 della iniziale storia europea di  questo gioco particolarmente eletto e
 legato a molteplici usi e costumi.
   L’intera vicenda dei Carrand e del loro lascito è già stata 
ricordata e merita di essere conosciuta per poter comprendere appieno il
 profondo significato del rapporto tra il Bargello e il collezionismo 
francese. 8  
   Un rapporto che ha conferito al Bargello una dignità 
internazionale di collezioni di arti minori, pari a quella già nota nel 
campo della scultura rinascimentale.
   La superba tavola da gioco e i pezzi di scacchi della collezione 
Carrand formano –  proprio per la loro diversa origine e la loro diversa
  produzione - un gruppo che non ha uguali in Italia. Questa loro antica
 appartenenza a diversi set di scacchi li rende preziosi offrendo allo 
studioso un ampio  panorama di discussione che investe un arco di tempo 
di secoli particolarmente interessante per la storia del gioco.
   L’insieme consta di una tavola da gioco e di 11 antichi pezzi di 
scacchi, due dei quali di produzione musulmana, altri due di fattura 
europea su modello islamico, gli altri sette di certa produzione 
europea; tutti sono databili fra il X e XIII secolo. Questi pezzi sono 
stati ripetutamente e accuratamente studiati in passato  ma quasi sempre
 separatamente 9;  solo recentemente in tutto il loro insieme. 10 
   La  tavola da gioco  del Bargello 11 è una 
delle più splendide tra quelle a noi pervenute e merita speciale 
attenzione per la raffinatezza della lavorazione, per la preziosità del 
materiale utilizzato e per  l’indubbio valore artistico.
   I due lati della tavola sembrerebbero essere destinati, l’uno al gioco degli scacchi e l’altro a quello che noi oggi chiamiamo backgammon, ma su questo argomento è bene ricordare che l’uso del condizionale non può essere ancora abbandonato.  
   Mentre il primo lato è storicamente compatibile con la diffusione
 del gioco degli scacchi, il secondo lato potrebbe facilmente prestarsi a
 equivoci o a interpretazioni diverse.
   Su questo lato si giocava  “il gioco delle tavole”. E’ oggetto di discussione fra gli esperti se come “tavole” fossero da intendersi le due facce del tavoliere o, più probabilmente, le due parti del tavoliere
 aperto sulla faccia opposta alla scacchiera, oppure le stesse pedine 
bicolori (simili a quelle divenute più note della dama) che nel gioco 
venivano fatte avanzare tirando tre o due dadi a  seconda della 
variante.
   A parte il significato esatto di “tavole”, il termine “gioco delle tavole”
 veniva solitamente usato per indicare una intera famiglia di giochi 
simili di cui quelli che storicamente hanno avuto maggiore diffusione 
internazionale sono tric-trac (diffuso specialmente a partire dalla Francia) e backgammon (dall’Inghilterra).
   Ai giorni nostri gli studiosi sono impegnati nella ricerca di 
termini più appropriati per definire con maggiore precisione le regole e
 le diverse caratteristiche di questi giochi ma la situazione è 
tutt’altro che chiarita per quel lontano Quattrocento.
   I pezzi del gioco di questa splendida scacchiera sono andati 
irrimediabilmente perduti; viceversa il Museo del Bargello conserva una 
serie di pedine rotonde in avorio, di  diverso,  diametro,  stupendamente intagliate.
   Nelle schede del Museo tali pedine sono indicate come di dama, ma con tutta probabilità erano utilizzate per giochi di tavole.
   Una indicazione ulteriore  viene proprio da quei forellini che si
 direbbero aggiunti posteriormente sulla  parte  opposta dei  
bassorilievi  della scacchiera: chi  li fece, in parte  si comportò  da 
vandalo, rovinando  le  decorazioni  esistenti, e  in parte,  invece, 
cercò di rispettarli, anche a costo di ottenere delle serie di fori meno
 regolari di quelle che si potevano ricavare in assenza degli intagli. 
Si  è  così  adattato  il tavoliere  per  giochi di tipo tric-trac
  (la varietà  che diventerà  di  moda alla corte dei re  di Francia  e 
di là in  molti altri luoghi)  in cui  contavano particolari  
disposizioni delle pedine   raggiunte  durante  il loro  solito  percorso a  seguito del  tiro dei dadi,  con obiettivo finale l’uscita dal lato opposto.
   In  queste  varianti  il  punteggio  parziale  cresceva  durante 
il gioco  e se ne teneva conto con dei segnapunti che venivano mossi 
lungo il bordo, spostandoli da un foro all’altro. 
   Le aree di gioco di entrambi i lati sono in  avorio alternate con
 altre riccamente intarsiate in ebano con artistica lavorazione 
certosina a forma di stelle, losanghe, quadri e triangoli con prevalenza
 di rosso e verde.
   Il tutto è completato da una sequenza di bassorilievi in avorio 
per un totale di otto rettangoli superiori e otto inferiori che 
rappresentano scene di corte con figure in rilievo.
Gli angoli che completano il grande quadrato mostrano scudi araldici con
 decorazioni di acanto. I sedici bassorilievi costituiscono la parte più
 straordinaria di tutto questo insieme. L’artista sembra puntare su una 
plasticità rude e risentita ma estranea alla staticità, dando maggiore 
importanza al trattamento della superficie per accentuare gli effetti di
 movimento. 
   Le scene di corte si susseguono e stupiscono l’osservatore per 
l’eccezionale qualità dell’intaglio: una folla di azzimati cavalieri con
 armature e dame con  abiti preziosi e raffinati e fantasiosi copricapi 
si scontra e si incontra in duelli, affollati combattimenti, amichevoli 
tenzoni, in scene di corte, d’amore, coppie che passeggiano, delicati 
corteggiamenti, esibizioni di musici, una dama e il suo amante giocano a
 scacchi e scene di caccia. Il tutto avviene all’aperto con alberi e 
cespugli che sembrano sfavillare al sole dopo una giornata di pioggia. 
Gli abiti corrispondono alla lussuriosa ed elegante moda borgognona di 
quei tempi: le dame indossano i caratteristici copricapi d’epoca e vesti
 lunghe con strascico, i cavalieri corte giacche con le maniche a sbuffo
 e pregiati cappelli, più umili, naturalmente, le vesti dei servitori. 
   La scuola borgognona è, nella storia dell’arte, una particolare 
cultura figurativa che si sviluppò alla corte di Filippo l’Ardito († 
1404). Molto più tardi, quando Filippo il Buono († 1467) abbandona 
sempre più frequentemente la Borgogna per le terre del nord, si verifica
 una cesura profonda e la storia  artistica borgognona viene a 
coincidere con la più vasta storia dell’arte fiamminga.
   Anche allora, tuttavia, qualche carattere che possiamo chiamare 
borgognone rimarrà nell’arte della corte ducale di Borgogna , non tanto a
 livello artistico, quanto nel privilegio riservato a certe tecniche, 
nel gusto per le materie preziose e l’esibizione sfarzosa, nella stessa 
funzione conferita all’oggetto artistico.
   Tutto ciò si osserva perché si potrebbe anche pensare che 
l’intagliatore di questa eccezionale scacchiera fu un italiano che ebbe 
occasione di visitare o risiedere per qualche tempo in Borgogna. 
   Le scene raffigurate nei bassorilievi mostrano una stretta connessione con un pettine d’avorio                custodito nel Victoria & Albert
 Museo di Londra. Secondo i fratelli Wichmann esse  potrebbero forse 
essere dello stesso artista, ma alla luce delle attuali conoscenze 
riesce difficile suffragare questa ipotesi.
   Nel Kunstgewerbemuseum di Berlino vi è una scacchiera 
dello stesso periodo, senza però le strutture in rilievo e con le 
caselle intarsiate che mostrano una stretta affinità con quelle della 
scacchiera del Bargello.
Note:
1 -    Murray, , p. 155-156.
2 -    McNab, Wilkinson, Chess: East and West, Past and Present, 
The Metropolitan Museum of Art, New York, 1968, scheda n.1. Cfr. 
Herzfeld, Ein Sasanidischer Elefant, in “Archeologiche Mitteilungen aus 
Iran” III, 1931, p.27; Sarre,
 Sasanian stone Sculpture, in “Survey of Persian Art“, Oxford, 1939, vol. I, p.593-600, vol. IV, fig. 169b. 
3 -  Burjakov, Zur Bestimmung und Datierung einiger der ältesten Schachfiguren, Der Fund von Afrasiab (Samarkand), in Antike Welt, 1994, p.62-71.
4 -  Montesquiou-Fezensac, Gaborit-Chopin, le Trèsor de Saint Denis, Parigi, vol.3, 1973-1977 ; e Pastoureau, L’échiquier de Charlemagne, un jeu pour ne pas jouer, Parigi, 1990.  Pastoureau
 indica Salerno come luogo dell’intaglio ma recenti ed accurati studi di
 Lucinia Speciale, dell’Università di Lecce, sembrano provare che la 
scuola di quei maestri intagliatori sia da locare in Amalfi. Cfr. 
Speciale, relazione Il gioco degli scacchi nell’Occidente latino”, Brescia, Università degli Studi, 10 febbraio, 2006.  
5 -  Madden,  Historical remarks on the introduction of the game of 
chess into Europe, and on the ancient chessmen discovered in the Isle of
 Lewis, (a nord-ovest della Scozia), in “Archeologia”, XXIV, 1832, p. 203-91; cfr. Taylor, The Lewis Chessmen,
Londra, British Museum, 1978; Stratford, The Lewis Chessmen and the enigma of the hoard, Londra, British Museum, 1997.
6 - Wichmann H. e S.,  Schach, Ursprung und Wandlung der Spielfigur, Monaco, 1960, tav. 1-3, note a p.274.
7 -   Pastoureau, op. cit.,  p.52-55.
8 - AA. VV.,  Arti del Medio Evo e del Rinascimento, Omaggio ai Carrand, 1889-1989, Firenze, 1989. Barocchi, Gaeta Bertelà  (a cura di) I Carrand e il collezionismo Francese, 1820-1888, Firenze, 1989.   
      
9 -    Sangiorgi,  Collection Carrand au Bargello, Roma, 1895; Supino, Catalogo del R. Museo Nazionale di Firenze,
 Roma 1898; Goldschmidt, Die Elfenbeinskulpturen aus der Zeit der 
Karolinischen und der Schachsischen Kaiser (VIII°, XI° Jahrhundert) IV, 
Berlino, 1926; Lamm, Mittelalteriliche Glasser und Steinschnittarbeiter aus dem nahem Osten, Berlino,1930; Wichmann H. S., op. cit.; Boccia, Costumi guerreschi negli avori Carrand, in “Antichità Viva”, II,Firenze, 1963, p. 33-46.
10 -    Sanvito, Scacchi e tavole da gioco nella collezione Carrand, Firenze, 2000.      
11 -   Arte, probabilmente italiana, XV° secolo, avorio e 
ebano.Struttura interna di stile francese o fiammingo.Bassorilievi in 
avorio. Apertura totale cm. 56 x 56 x 3,1. Pieghevole. Inv. 155 
C.Conservazione : buona (danni, piccoli fori su i bassorilievi di un 
lato).
            12 -    Un sentito ringraziamento è dovuto a 
Pratesi, autorevole studioso di giochi di riflessione, per i consigli 
forniti circa i giochi diversi dagli scacchi, praticati su questa 
scacchiera.
13 -    Wichmann, op. cit, t. 80, p. 299; Murray, op. cit. p.757;  Sangiorgi, op. cit., t. XIII; Liddell, Chessmen, New York, 1937. p.17; Cfr. per altre scacchiere si veda anche AA. VV.  Zur der Konige, Schachfiguren und Spiele aus vier Jahrhundert, Monaco, 1988, da t. 60 a t. 99; AA.VV. Spielwelten der Kunst, Vienna, 1998, da p. 97 a p. 106.
 
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