Il piacere di possedere “il bello” e “il meraviglioso” è antico quanto l’uomo; le testimonianze scritte pervenuteci dal passato lo provano. E gli scacchi, subito dopo la loro apparizione nella storia dell’uomo, occupano uno spazio tutt’altro che trascurabile per magnificare il bello.
In questo senso, straordinario, è il contributo fornito dalla letteratura medievale; note sono le così dette chansons de geste, in particolare quelle più romanzesche e più amorose che cantano le avventure di re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda: l’esempio più antico è il Roman de Brut di Wace (1155), fondato sulla fantasiosa Historia regum Britanniae di Goffredo di Monmouth, e seguìto dalle leggende di Tristano e Isotta, dai “lai” di Maria di Francia, dai poemi di Chrétien de Troyes e dei suoi epigoni.
Interi poemi si imperniavano sugli scacchi come quello, lunghissimo, intitolato Les échecs amoureux di 30060 versi; ben 580 righe sono dedicate all’episodio della partita a scacchi fra la damigella e il suo amante: una narrazione delicata, ricca di gentili similitudini, e fa singolare contrasto fra gli usi dei nostri prosaici tempi, la damigella che inizia la partita muovendo un pedone (panne), portante sullo scudo l’insegna di una rosa (l’einsegne d’une rose). 1
Il magico, il superbo, il magnifico, che traspare in ogni riga di questi testi si manifesta, naturalmente, anche nei riferimenti scacchistici. Le scacchiere e i pezzi del gioco sono sempre di grande valore e di grande bellezza: d’oro fino e d’argento, pezzi d’oro con pietre preziose o in osso di Amarquis, un animale favoloso; una borsa per contenere i pezzi è addirittura ornata con penne di Fenice, ma non mancano citazioni che presuppongono una conoscenza non superficiale dell’origine classica del gioco: nel Percival i pezzi di scacchi sono fatti di rosso rubino e di verde smeraldo e gli stessi colori si trovano in una versione de Les Echechs Amoureux.
In ogni caso il “meraviglioso” è parte integrante di tutti questi romanzi cortesi, e per comprenderlo appieno occorre necessariamente fare riferimento agli studi specifici dedicati a questo fenomeno medievale 2; si apprende così che il problema del “meraviglioso” in una civiltà, in una società di un altro tempo, va affrontato a livello primordiale: quello del vocabolario, ovvero, confrontare il vocabolario di cui ci serviamo con quello delle civiltà storiche che stiamo studiando.
Un termine, nell’occidente medievale, corrispondente al nostro “meraviglioso”, esistente in ambienti colti, potrebbe essere mirabilis, tuttavia, appare più preciso per l’odierna comprensione, il plurale mirabilia.
Tutto ciò si osserva perché non si può prescindere dall’apporto delle lingue volgari; dopo la lingua delle persone colte, dopo la lingua dotta, il latino, ci sono le lingue volgari e quando queste lingue affiorano e diventano lingue letterarie, il termine “meraviglioso” compare in tutte le lingue romanze e anche in inglese.
Non esiste invece un termine corrispondente nelle lingue germaniche, dove il campo del “meraviglioso” si articolerà piuttosto intorno al Wunder.
In alcune varianti di questi passaggi sembra di poter cogliere aggiunte ancor più fantastiche: i pezzi si muovono solo se vengono toccati da un anello magico; nella versione olandese del Gauvain, nota come Walewein, l’eroe entra nel castello e in una sala nota la “scacchiera” sulla quale i pezzi si muovono solo se toccati da un anello magico. Nell’equivalente versione francese Gauvain et l’échiquier la vicenda muta ancora: questa volta la tavola magica è d’argento e avorio e vola nei saloni della corte di Artù per poi scomparire meravigliosamente. Gli “scacchi” magici sono citati anche nella Quète du Saint Graal, mentre in una versione inglese de L’Estoire de Merlin la costruzione della scacchiera magica è attribuita al mago Guynebans. 3
Il simbolismo scacchistico, ciò nonostante, non venne usato solo per esaltare “il bello” e “il meraviglioso” in un contesto amoroso, ma anche per analogie assai più lugubri sebbene sempre con l’intenzione di “stupire”.
Non vi è stata epoca nella storia dell’uomo, infatti, che abbia coltivato l’idea della morte con tanta insistenza e tanta regolarità quanto il Quattrocento.
Tutto il secolo fu attraversato senza tregua dal grido memento mori, e quasi inevitabilmente la partita a scacchi fu usata per simulare le vicende della vita e così l’uomo incontra davanti alla scacchiera il Fato, il Destino, la Morte e l’ammonimento dell’antico poeta che conobbe diverse traduzioni e numerose varianti “In questo mondo, uno gioca con l’altro, l’uno perde e l’altro vince, l’altro è mattato, chi vince è chiamato saggio e forte, ma alla fine vengono gettati tutti nello stesso sacco” percorse le strade di tutta Europa. 4
Inquietante l’uso che ne fece, in una delle sue celebri prediche, Girolamo Savonarola che, esattamente il 2 novembre 1496, giorno dei defunti, in Firenze inveì così: “O huomo il diavolo giuoca ad scacchi con teco & guarda di giugnerti & darti scaccho matto ad quel pucto & pero sta preparato & pensa bene ad quel puncto tu hai vincto ogni cosa: ma se tu perdi tu non hai facto nulla. Habbi dunque l’occhio ad questo scaccho matto: pensa sempre alla morte: che se tu non ti trovassi bene preparato ad quel puncto tu hai perduto ogni cosa che hai facto in questa vita”. 5
Superba la sintesi del poeta che in pochi versi, utilizza gli elementi tipici di questi romanzi cortesi: amore contrastato di due giovani innamorati che giocano a scacchi movendo pezzi presumibilmente d’oro e d’argento, e l’arrivo improvviso della morte, per cantare la favola di Isotta e Tristano:Trapassata che fu la notte e venuto il giorno e
Tristano e Isotta stando in tanta allegrezza e
giocando a scacchi e cantando sottovoce un sonetto…..
lo re Marco gli lanciò la lancia e ferillo nel fianco
dal lato manco…e così morti sono in bracio a bracio,
a viso a viso, gli due leali amanti.
La Tavola Rotonda, cap. CXXVII.
Note:1 - Sanvito, Das Rätsel des Kelten-Spiels, in “Board Games Studies /5”, Università di Leiden, 2002, p. 9-24.
2 - Le Goff , Il meraviglioso e il quotidiano nell’Occidente medievale, Roma-Bari, 1999.
3 - Murray, A History of Chess, Oxford, p. 747. In genere per questi adattamenti, cfr. Frappier, La naissance et l’évolution du roman arthurien en prose, in “Grundriss, Der Romanischen Literaturen des Mittelalters”, vol. IV, Le Roman jusqu’à la fin du XIII siècle , Heidelberg, 1978. A pagina 550 del cap. Le cycle de la Vulgate, si legge “Toute la machinerie romanesque fonctionne des plus belles: tournois, défis, quêtes, méprises, incognitos; nains, géants, pucelles persécuté, prisons cruelles, fontaines empoisonnées, philtres, longue démence, échiquiers, anneaux magiques, carole enchantée”.
4 - Sanvito, Gli scacchi e la morte nell’iconografia. Una partita perduta in partenza…, in “L’Italia Scacchistica”, Milano, 2002, p. 114- 122.
5 - Predica fatta il 2 novembre 1496 dell’arte del ben morire raccolta da Lorenzo Violi, Firenze, 1500 c. La citazione scacchistica è tratta dall’edizione IGI8758 ma la “predica” ha avuto almeno 4 edizioni dal 2 novembre 1496 alla fine del secolo. Il passaggio si trova a c. a 6 r. Il merito di questa scoperta è tutto da attribuire al dottor Piero Scapecchi della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. A lui devo un sentito ringraziamento per avermi passato questa preziosa informazione.Capitolo I
Superbe testimonianze giunte dal passato
La storia degli scacchi è come un grande mosaico costruito con tanti tasselli. Probabilmente tutte le storie posseggono tale caratteristica ma gli scacchi sono forse unici nell’avere tasselli così complessi; tasselli vari con differenti storie, alcune antiche con ricca tradizione di fonti e studi in avanzato stadio di conoscenze e altre antiche o nuove con una storia ancora in parte da approfondire.
Agli scacchi sono stati spesso associati i più disparati temi, esterni al gioco, come la musica, le lettere, la matematica, l’archeologia, la pittura, l’arte, la psicologia, l’astronomia, i computers e così via ma gli scacchi hanno saputo alimentare anche discipline all’interno della propria essenza, durante il loro ultra millenario percorso; appunto i tasselli che servirono, servono e serviranno per raccontarne la storia.
Fra queste discipline interne, primeggia, ad esempio, per nobiltà e conoscenza il “problemismo”, cioè quanto si intende, secondo una moderna definizione tradizionale, per “problema di scacchi”; una posizione di pezzi creata dalla mente del compositore, nella quale il Bianco, con una serie di mosse prestabilite, da scacco matto al Nero o costringe quest’ultimo a dare scacco matto al Bianco. Naturalmente questa definizione è ben lontana dall’essere completa, tuttavia, essa è sufficiente per rendersi conto dello scopo del “problema” che è in primo luogo la presentazione di una combinazione decisiva di breve sviluppo, geniale, e di profonda bellezza che spesso raggiunge l’altezza di una vera e propria creazione artistica.
Vi sono naturalmente altre discipline all’interno degli scacchi che hanno subito, grazie a continui studi, la stessa evoluzione con risultati di conoscenza assai elevati. Viceversa fra i tasselli ancora da studiare a fondo, curiosamente, vi figura la storia dei pezzi del gioco; pezzi attraverso il cui uso, tra l’altro, si è costruita l’intera storia degli scacchi.
Il contrasto è oltretutto aggravato dal fatto che la prima certa testimonianza dell’esistenza degli scacchi sia completamente basata sulla consegna da parte di un re indiano a un re persiano di un set di scacchi raffigurato da due schieramenti realizzati in rosso rubino e verde smeraldo. Lo stesso Murray nel suo monumentale lavoro, commentando lo Shanama (Il libro dei Re), che racconta anche del passaggio degli scacchi dall’India alla Persia, osserva che Firdawsi non si attenne scrupolosamente ai fatti contenuti nell’antico testo pahlavico; al contrario il poeta persiano si concesse numerose licenze letterali, la più importante delle quali fu, nella sua narrazione, di sostituire i pezzi realizzati in rubini e smeraldi con pezzi fatti in avorio e teak. La sua lapidaria sentenza fu: “The colours of the older text seem, though, to be more accurate historically”.
A supporto di tale giudizio, lo studioso inglese cita un passaggio contenuto nel libro “Ghurar akhber muluk alfurs” di Ath-Tha alibi, che era stato scritto per magnificare i meravigliosi tesori di Xusraw che suona così “Egli possedeva anche un gioco di scacchi i cui pezzi erano di rosso rubino e verde smeraldo”.
E’ possibile, si chiede addirittura Murray, che “la saga dell’ambasciatore giunto dall’India sia nata dall’esistenza di questo favoloso set?”. 1
Il piacere, dunque, di possedere, in genere “il bello”, e nel nostro particolare caso, rari, preziosi, unici, giochi di scacchi è passione antichissima; non certo solo appannaggio degli uomini del nostro tempo.
Sets così antichi non sono mai arrivati integri ai nostri giorni, tuttavia, singoli pezzi o parti di giochi provenienti da ogni dove ma soprattutto da scavi archeologici sono sopravvissuti alle inesorabili insidie del tempo consentendoci di intuirne il percorso originario, permettendoci di ammirare e studiare antiche testimonianze che oggi costituiscono il raro patrimonio scacchistico di tutta la comunità internazionale.
Fra i più antichi pezzi a noi pervenuti vi è un elefante, in pietra nera, oggi conservato al Metropolitan Museum of Art di New York, che secondo i responsabili “potrebbe” essere un Re appartenuto a un set persiano; il “potrebbe”, per altro indicato nella scheda del Museo, ci offre lo spunto per fare una considerazione di carattere generale: va sempre ricordato che giudicare un singolo pezzo estraniato dal suo contesto di appartenenza ad un gruppo di figure, è impresa improba, se non impossibile. 2
Molto diverso è il caso dell’importante ritrovamento archeologico guidato da Burjakov, avvenuto a Afrasiab di sette figure in avorio, datate attorno al VII, VIII secolo d.C., raffiguranti uomini e animali in maniera – nonostante il cattivo stato di conservazione – chiaramente naturalistica, tali da riportarci immediatamente con il pensiero all’ antica ambasciata del re indiano. 3
Degni di nota sono due tesori scacchistici particolarmente ricchi di pezzi oggi custoditi l’uno in Francia e l’altro in Gran Bretagna; il primo è il cosiddetto gruppo di 16 pezzi in avorio comunemente noto con la dizione di “Scacchi di Carlomagno”, sebbene Carlomagno fosse già morto da alcuni secoli quando l’intero set fu intagliato. Tutta la storia nacque da una leggenda, ovviamente priva di fondamento, secondo la quale il Califfo di Bagdad, Haroun el-Rachid lo avrebbe donato al re carolingio in occasione della sua incoronazione a imperatore nell’anno 800. Lo straordinario insieme di forme naturalistiche di notevole fattura fu trovato nell’Abbazia di Saint Denis; molto più tardi il tutto fu trasferito al Cabinet des Médailles della Biblioteca Nazionale. La lavorazione, certamente medievale, di evidente mano europea che, tuttavia, evoca in alcuni pezzi una visione orientale, sembra, secondo accurati studi, essere opera delle scuola italiana di intagliatori di Amalfi. 4
Il secondo cimelio è l’eccezionale rinvenimento di ben 78 pezzi intagliati in dente di tricheco, avvenuto nel 1831 su una spiaggia della costa occidentale dell’isola di Lewis, donde il successivo nome convenzionale a loro attribuito. Anche i Lewis sono pezzi, nella maggior parte, antropomorfi e appartengono a più serie di scacchi; 67 di essi si trovano al British Musem di Londra, gli altri 11 al Museo Nazionale di Edimburgo. Secondo gli esperti che li hanno studiati, questi pezzi eccezionali per la truce espressività dei personaggi scolpiti con innegabile maestria, dovrebbero risalire al XII secolo e probabilmente furono di mano d’opera scandinava. Oggi sono incolori ma al tempo del loro ritrovamento alcuni conservavano ancora tracce di rosso scuro, o come si scrisse beet-root color, cioè color barbabietola. Una caratteristica, questa, già osservata in diversi altri casi e abbastanza usuale nei set figurativi d’epoca medievale. 5
Molto probabilmente in assoluto, un elefante in avorio di raffinata fattura orientale, è forse il più noto negli ambienti scacchistici fra tutti i pezzi a noi pervenuti. 6 Ripetutamente pubblicato si trova anch’esso custodito al Cabinet des Médailles della Biblioteca Nazionale; un re di un gioco di scacchi indiano presumibilmente databile al X secolo che, per via dell’ iscrizione sul piedestallo min’ amal Yâmal al-Bâhilì, viene considerato di produzione araba su modello indiano, sebbene non si possa escludere che tale scritta potrebbe anche non essere quella dell’intagliatore ma quella del proprietario. Comunque sia, sulla corretta identificazione di questo Re domina pesantemente la già citata difficoltà di essere un “singolo”. Basti pensare che dopo mille anni nessuna conclusione certa è stata ancora raggiunta. 7
Il Museo Nazionale del Bargello di Firenze conserva una delle più importanti collezioni del mondo di pezzi antichi di scacchi sopravvissuti al tempo e pervenuti a noi con la donazione Carrand del 1888. La loro varia manifattura, europea ed esotica documenta un “epoca” della iniziale storia europea di questo gioco particolarmente eletto e legato a molteplici usi e costumi.
L’intera vicenda dei Carrand e del loro lascito è già stata ricordata e merita di essere conosciuta per poter comprendere appieno il profondo significato del rapporto tra il Bargello e il collezionismo francese. 8
Un rapporto che ha conferito al Bargello una dignità internazionale di collezioni di arti minori, pari a quella già nota nel campo della scultura rinascimentale.
La superba tavola da gioco e i pezzi di scacchi della collezione Carrand formano – proprio per la loro diversa origine e la loro diversa produzione - un gruppo che non ha uguali in Italia. Questa loro antica appartenenza a diversi set di scacchi li rende preziosi offrendo allo studioso un ampio panorama di discussione che investe un arco di tempo di secoli particolarmente interessante per la storia del gioco.
L’insieme consta di una tavola da gioco e di 11 antichi pezzi di scacchi, due dei quali di produzione musulmana, altri due di fattura europea su modello islamico, gli altri sette di certa produzione europea; tutti sono databili fra il X e XIII secolo. Questi pezzi sono stati ripetutamente e accuratamente studiati in passato ma quasi sempre separatamente 9; solo recentemente in tutto il loro insieme. 10
La tavola da gioco del Bargello 11 è una delle più splendide tra quelle a noi pervenute e merita speciale attenzione per la raffinatezza della lavorazione, per la preziosità del materiale utilizzato e per l’indubbio valore artistico.
I due lati della tavola sembrerebbero essere destinati, l’uno al gioco degli scacchi e l’altro a quello che noi oggi chiamiamo backgammon, ma su questo argomento è bene ricordare che l’uso del condizionale non può essere ancora abbandonato.
Mentre il primo lato è storicamente compatibile con la diffusione del gioco degli scacchi, il secondo lato potrebbe facilmente prestarsi a equivoci o a interpretazioni diverse.
Su questo lato si giocava “il gioco delle tavole”. E’ oggetto di discussione fra gli esperti se come “tavole” fossero da intendersi le due facce del tavoliere o, più probabilmente, le due parti del tavoliere aperto sulla faccia opposta alla scacchiera, oppure le stesse pedine bicolori (simili a quelle divenute più note della dama) che nel gioco venivano fatte avanzare tirando tre o due dadi a seconda della variante.
A parte il significato esatto di “tavole”, il termine “gioco delle tavole” veniva solitamente usato per indicare una intera famiglia di giochi simili di cui quelli che storicamente hanno avuto maggiore diffusione internazionale sono tric-trac (diffuso specialmente a partire dalla Francia) e backgammon (dall’Inghilterra).
Ai giorni nostri gli studiosi sono impegnati nella ricerca di termini più appropriati per definire con maggiore precisione le regole e le diverse caratteristiche di questi giochi ma la situazione è tutt’altro che chiarita per quel lontano Quattrocento.
I pezzi del gioco di questa splendida scacchiera sono andati irrimediabilmente perduti; viceversa il Museo del Bargello conserva una serie di pedine rotonde in avorio, di diverso, diametro, stupendamente intagliate.
Nelle schede del Museo tali pedine sono indicate come di dama, ma con tutta probabilità erano utilizzate per giochi di tavole.
Una indicazione ulteriore viene proprio da quei forellini che si direbbero aggiunti posteriormente sulla parte opposta dei bassorilievi della scacchiera: chi li fece, in parte si comportò da vandalo, rovinando le decorazioni esistenti, e in parte, invece, cercò di rispettarli, anche a costo di ottenere delle serie di fori meno regolari di quelle che si potevano ricavare in assenza degli intagli. Si è così adattato il tavoliere per giochi di tipo tric-trac (la varietà che diventerà di moda alla corte dei re di Francia e di là in molti altri luoghi) in cui contavano particolari disposizioni delle pedine raggiunte durante il loro solito percorso a seguito del tiro dei dadi, con obiettivo finale l’uscita dal lato opposto.
In queste varianti il punteggio parziale cresceva durante il gioco e se ne teneva conto con dei segnapunti che venivano mossi lungo il bordo, spostandoli da un foro all’altro.
Le aree di gioco di entrambi i lati sono in avorio alternate con altre riccamente intarsiate in ebano con artistica lavorazione certosina a forma di stelle, losanghe, quadri e triangoli con prevalenza di rosso e verde.
Il tutto è completato da una sequenza di bassorilievi in avorio per un totale di otto rettangoli superiori e otto inferiori che rappresentano scene di corte con figure in rilievo. Gli angoli che completano il grande quadrato mostrano scudi araldici con decorazioni di acanto. I sedici bassorilievi costituiscono la parte più straordinaria di tutto questo insieme. L’artista sembra puntare su una plasticità rude e risentita ma estranea alla staticità, dando maggiore importanza al trattamento della superficie per accentuare gli effetti di movimento.
Le scene di corte si susseguono e stupiscono l’osservatore per l’eccezionale qualità dell’intaglio: una folla di azzimati cavalieri con armature e dame con abiti preziosi e raffinati e fantasiosi copricapi si scontra e si incontra in duelli, affollati combattimenti, amichevoli tenzoni, in scene di corte, d’amore, coppie che passeggiano, delicati corteggiamenti, esibizioni di musici, una dama e il suo amante giocano a scacchi e scene di caccia. Il tutto avviene all’aperto con alberi e cespugli che sembrano sfavillare al sole dopo una giornata di pioggia. Gli abiti corrispondono alla lussuriosa ed elegante moda borgognona di quei tempi: le dame indossano i caratteristici copricapi d’epoca e vesti lunghe con strascico, i cavalieri corte giacche con le maniche a sbuffo e pregiati cappelli, più umili, naturalmente, le vesti dei servitori.
La scuola borgognona è, nella storia dell’arte, una particolare cultura figurativa che si sviluppò alla corte di Filippo l’Ardito († 1404). Molto più tardi, quando Filippo il Buono († 1467) abbandona sempre più frequentemente la Borgogna per le terre del nord, si verifica una cesura profonda e la storia artistica borgognona viene a coincidere con la più vasta storia dell’arte fiamminga.
Anche allora, tuttavia, qualche carattere che possiamo chiamare borgognone rimarrà nell’arte della corte ducale di Borgogna , non tanto a livello artistico, quanto nel privilegio riservato a certe tecniche, nel gusto per le materie preziose e l’esibizione sfarzosa, nella stessa funzione conferita all’oggetto artistico.
Tutto ciò si osserva perché si potrebbe anche pensare che l’intagliatore di questa eccezionale scacchiera fu un italiano che ebbe occasione di visitare o risiedere per qualche tempo in Borgogna.
Le scene raffigurate nei bassorilievi mostrano una stretta connessione con un pettine d’avorio custodito nel Victoria & Albert Museo di Londra. Secondo i fratelli Wichmann esse potrebbero forse essere dello stesso artista, ma alla luce delle attuali conoscenze riesce difficile suffragare questa ipotesi.
Nel Kunstgewerbemuseum di Berlino vi è una scacchiera dello stesso periodo, senza però le strutture in rilievo e con le caselle intarsiate che mostrano una stretta affinità con quelle della scacchiera del Bargello.
Note:1 - Murray, , p. 155-156.
2 - McNab, Wilkinson, Chess: East and West, Past and Present, The Metropolitan Museum of Art, New York, 1968, scheda n.1. Cfr. Herzfeld, Ein Sasanidischer Elefant, in “Archeologiche Mitteilungen aus Iran” III, 1931, p.27; Sarre, Sasanian stone Sculpture, in “Survey of Persian Art“, Oxford, 1939, vol. I, p.593-600, vol. IV, fig. 169b.
3 - Burjakov, Zur Bestimmung und Datierung einiger der ältesten Schachfiguren, Der Fund von Afrasiab (Samarkand), in Antike Welt, 1994, p.62-71.
4 - Montesquiou-Fezensac, Gaborit-Chopin, le Trèsor de Saint Denis, Parigi, vol.3, 1973-1977 ; e Pastoureau, L’échiquier de Charlemagne, un jeu pour ne pas jouer, Parigi, 1990. Pastoureau indica Salerno come luogo dell’intaglio ma recenti ed accurati studi di Lucinia Speciale, dell’Università di Lecce, sembrano provare che la scuola di quei maestri intagliatori sia da locare in Amalfi. Cfr. Speciale, relazione Il gioco degli scacchi nell’Occidente latino”, Brescia, Università degli Studi, 10 febbraio, 2006.
5 - Madden, Historical remarks on the introduction of the game of chess into Europe, and on the ancient chessmen discovered in the Isle of Lewis, (a nord-ovest della Scozia), in “Archeologia”, XXIV, 1832, p. 203-91; cfr. Taylor, The Lewis Chessmen, Londra, British Museum, 1978; Stratford, The Lewis Chessmen and the enigma of the hoard, Londra, British Museum, 1997.
6 - Wichmann H. e S., Schach, Ursprung und Wandlung der Spielfigur, Monaco, 1960, tav. 1-3, note a p.274.
7 - Pastoureau, op. cit., p.52-55.
8 - AA. VV., Arti del Medio Evo e del Rinascimento, Omaggio ai Carrand, 1889-1989, Firenze, 1989. Barocchi, Gaeta Bertelà (a cura di) I Carrand e il collezionismo Francese, 1820-1888, Firenze, 1989.
9 - Sangiorgi, Collection Carrand au Bargello, Roma, 1895; Supino, Catalogo del R. Museo Nazionale di Firenze, Roma 1898; Goldschmidt, Die Elfenbeinskulpturen aus der Zeit der Karolinischen und der Schachsischen Kaiser (VIII°, XI° Jahrhundert) IV, Berlino, 1926; Lamm, Mittelalteriliche Glasser und Steinschnittarbeiter aus dem nahem Osten, Berlino,1930; Wichmann H. S., op. cit.; Boccia, Costumi guerreschi negli avori Carrand, in “Antichità Viva”, II,Firenze, 1963, p. 33-46.
10 - Sanvito, Scacchi e tavole da gioco nella collezione Carrand, Firenze, 2000.
11 - Arte, probabilmente italiana, XV° secolo, avorio e ebano.Struttura interna di stile francese o fiammingo.Bassorilievi in avorio. Apertura totale cm. 56 x 56 x 3,1. Pieghevole. Inv. 155 C.Conservazione : buona (danni, piccoli fori su i bassorilievi di un lato).
12 - Un sentito ringraziamento è dovuto a Pratesi, autorevole studioso di giochi di riflessione, per i consigli forniti circa i giochi diversi dagli scacchi, praticati su questa scacchiera.
13 - Wichmann, op. cit, t. 80, p. 299; Murray, op. cit. p.757; Sangiorgi, op. cit., t. XIII; Liddell, Chessmen, New York, 1937. p.17; Cfr. per altre scacchiere si veda anche AA. VV. Zur der Konige, Schachfiguren und Spiele aus vier Jahrhundert, Monaco, 1988, da t. 60 a t. 99; AA.VV. Spielwelten der Kunst, Vienna, 1998, da p. 97 a p. 106.
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lunedì 23 settembre 2019
Possedere il bello (1) di Alessandro Sanvito
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